Le parole del Papa, semi di Pace

Confido nel Papa. Confido nelle sue parole, nei suoi gesti, spero nella sua diplomazia. Una voce di pace che si alza e prova a contrastare questi pazzeschi venti di guerra che fanno sempre più paura. Il mondo, che ripiomba nel sonno della ragione, con teste di cane e segni davanti alle porte di ebrei e pacifisti in Russia, con gli stati che si dividono fra vicini a Putin e vicini a Zelensky.

Io non riesco a stare in un mondo semplificato, in cui devi schierarti su due opzioni che comunque non mi piacciono: quella della guerra e quella delle armi per contrastare la guerra. Sogno, da utopista, come lo era Gandhi, come lo è Francesco, come lo è stato Gorbacev, o come l’italianissmo Aldo Capitini, un mondo che sappia spremere le ragioni della diplomazia fino alla fine, capace di navigare contro i venti di guerra. Pensate per un attimo quanto è semplice schierarsi con Putin o contro di lui. Con Zelensky o contro Zelensky. Cancellando ogni ragione o ogni torto della storia e della politica. Facendo finta che tutto comincia con l’invasione dell’Ucraina, dimenticando tutto quello che ci può essere stato prima e tutte le responsabilità dei protagonisti. Le scelte di pace, o anche quelle di guerra, non possono essere avulse dalla storia, dalla memoria di quel che è successo prima.

Non ci può essere una decisione senza valutarne le responsabilità e le scelte storiche che hanno portato ad una crisi. E quando questa crisi diventa pericolosa l’unica possibilità che c’è è quella di una scelta, a volte unilaterale, che spiazzi e spazzi via ogni altra opzione pericolosa. E ci vuole coraggio e rischio.

Il coraggio di Francesco, di Santo Francesco, di andare solo col suo saio e da uomo di Dio dal grande Saladino nel 1219 e di gettare un seme di pace per Gerusalemme. Ed allora non sogno vertici, ma sogno capi di Stato che vanno a Mosca, da Putin (e anche il Papa è capo di Stato) e chiedono di entrare al Cremlino. Forti non dei loro poteri e dei loro arsenali ma dei loro desideri di Pace per un mondo che sia capace di confrontarsi e ragionare come all’interno di un’unica famiglia: la famiglia umana. Non cadrebbero bombe su loro. Ci sarebbe forse, da parte russa, un segno di incredulità. E forse tra quei capi di stato ci potrebbe essere anche la Cina.  

Sogno il dialogo, unica utopia possibile. L’ammissione delle reciproche responsabilità, la definizione di un governo del mondo basato sull’obiettivo comune: la conservazione della specie umana. Ecco quello che io vedo nelle parole di Papa Francesco, in quel “è pazzia il riarmo al 2% del Pil” e nelle sue parole inziali: “Mi sono vergognato” che segnano l’idea di una vergogna collettiva, vergogna per il genere umano che sa rispondere ad armi solo con armi e non con le parole della fratellanza e dell’amore.

Pensarla così non significa essere traditore dell’occidente, filo putiniano. Pensarla così non significa non aiutare l’Ucraina ma significa porre le basi per garantire un futuro a quel Paese, evitando che sanzione dopo sanzione e bomba dopo bomba seppelliscano ciò che abbiamo di più caro: la nostra umanità.

GIORNALI A COLAZIONE: SABATO 19 MARZO 2022

Arrivano gli sconti sul carburante. 25 centesimi al litro ma solo fino alla fine del mese di Aprile. Contributi energetici per le aziende e stanziamento per la gestione dei profughi Ucraini. Sul fronte “guerra” l’incontro tra Biden e Xi-Jinping promette impegno comune per la Pace ma da parte della Cina non ci sarà nessuna condanna a Putin: il Dragone vuole mantenere buoni rapporti tanto col mercato occidentale che con quello russo. Putin allo Stadio spiega in diretta ai presenti e in Dad ai russi le ragioni dell’operazione “Z” citando Stalin, lo Zar, Lenin, la grande madre Russia e il genocidio dei nazisti del battaglione Azov nel Donbass. Il barometro della Pace segna stallo e a tarda sera slitta nuovamente l’ipotesi di colloquio diretto tra Putin e Zelensky.

GIORNALI A COLAZIONE: VENERDI 18 MARZO 2022 

Tre fronti diversi sui quotidiani oggi in edicola. Il fronte di guerra in Ucraina con le specifiche del “pantano” in cui è finito l’esercito Russo che non sembra riuscire o volere sfondare a Kiev ma con un aumento delle vittime militari e civili. Sarebbero 7.000 i militari russi morti secondo i servizi statunitensi. Il fronte diplomatico con il capo delegazione ucraino che dice “dieci giorni di tempo per una tregua” mentre Zelensky parla al Bundestag tedesco. Oggi il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden – che dà del criminale e assassino a Vladimir Putin – sentirà al telefono Xi-Jinpig per provare la “via della seta” alla diplomazia. Poi il fronte economico a casa nostra. Le decisioni del Governo per aiutare i profughi, quelle per aiutare italiani e imprese sul caro energetico e la fine dell’emergenza legata alla pandemia con più libertà agli italiani. Segnalo anche alcuni articoli che provano a comprendere la strategia della comunicazione di Zelensky che surclassa quella novecentesca di Putin. Buona giornata a tutti.

LA RASSEGNA STAMPA DI GIOVEDI 17 MARZO

Quali sono i titoli dei quotidiani oggi in edicola? Questa la rassegna stampa della notte di @Rainews24. Anche oggi si parla per lo più di guerra e i bombardamenti a Mariupol e le vittime civili trovano lo spazio maggiore nella narrazione sui quotidiani. Però c’è anche molto spazio dedicato alle ipotesi di acvcordo tra Russia-Ucraina attraverso le rivelazioni del Wall Street Journal che parlano di una bozza in 15 punti per arrivare al cessate il fuoco. L’Ucraina non deve entrare nella Nato e la Russia vuole che la comunità internazionale accetti che la Crimea sia Russa. Nel frattempo Joe Biden dà del criminale a Putin che dice: “L’operazione sta andando bene anche se il nostro obiettivo non è quello di occupare l’Ucraina”. Zelensky al Congresso Usa: “Noi viviamo il nostro 11 settembre da 21 giorni”. A casa nostra il governo studia le misure per dare una mano a cittadini e imprese sul caro energetico e sul caro carburante.

Ordina il libro su Santelli Editore

In una intervista al Messaggero si parla del romanzo “Sotto le Ceneri”

L’inchiesta che si sviluppa nel romanzo prende spunto da una inchiesta vera sull’interramento delle ceneri della centrale Enel di La spezia a Fabro, in Umbria. Negli anni ’80 e ’90 i quotidiani locali umbri ne hanno parlato molto, anche perché all’epoca molte associazioni ambientaliste, locali e nazionali, si occuparono di quella vicenda. E, insieme a loro, interrogazioni parlamentari accesero i riflettori su quegli interramenti e sul fatto che la società che gestiva il trasporto delle ceneri della centrale aveva sede amministrativa a Roma, dove anche il PSI di Bettino Craxi aveva la propria sede, in via Tomacelli. Dunque il romanzo che tratta anche di questo, perchè alla fine si tratta di un giallo “ambientale” ha portato “Il Messaggero” a occuparsene. L’uscita del romanzo sarà il 28 aprile ma il libro è già in prevendita sugli store on line e nel portale dell’Editore Santelli che, mi piace ripeterlo, è mio omonimo e l’idea di pubblicare con un editore che si chiama come me mi è piaciuta davvero molto. Devo ringraziare la giornalista del Messaggero, Monica Riccio, che ha realizzato l’intervista.

Il Messaggero 15 marzo 2022 

L’opera di Odessa canta Va pensiero

Come sempre l’#arte, la #cultura, la #musica sono bellezza. Ma dire che la bellezza ci salverà, in questi tempi cupi che soffiano in Europa è forse troppo. Ma la musica resta il linguaggio comune, comprensibile da tutti. Non esiste un idioma più comune, capace di innescare gli stessi sentimenti. Per questo fa venire i brividi, crea anche una certa rabbia perché significa in qualche modo negare la possibilità di suonarla, ascoltarla perché qualcuno sta facendo la guerra. Mi vengono in mente due film. “Concerto” di Radu Mihaileanu che racconta la storia di un direttore di orchestra che si ribellò al regime sovietico, fu declassato ad addetto alle pulizie in quel teatro ma che trafuga un invito per l’orchestra del Bolschoi e lo accetta ricreando la “sua orchestra” del Bolschoi per andare a Parigi e la musica ebbe la meglio. O “Il Pianista” di Roman Polansky con la musica che mette nella guerra un po’ di bellezza e fa dialogare un Nazista con un pianista ebreo. L’amore per la musica come quella di Irina Maniukina che suona il pianoforte, unica cosa sopravvissuta ai bombardamenti, prima di fuggire dalla città di Bila Cerkva

Una guerra che parte da lontano

Una guerra che parte da lontano

dal mio blog http://www.grilliepinocchi.blogspot.it

E’ da qualche tempo che quando scrivo o parlo con amici e colleghi devo fare sempre una premessa. Prima era: “Io ho fatto la terza dose, sono favorevole ai vaccini, non sono un no vax”. E poi provavo a spiegare le mie considerazioni legate al fatto che nell’era che definisco – e non sono il solo – della Pandemocrazia, c’è una restrizione dei diritti che io vedo se non anticostituzionali almeno al limite della costituzionalità. La proliferazione dei decreti del presidente del consiglio, lo scarso ruolo del Parlamento, la restrizione dei diritti per i non vaccinati quando, se è vero come è vero che le vaccinazioni proteggono (mentre scrivo sono a casa con il Covid dopo la terza dose), quelli che rischiano sono loro. Ma questa è un’altra storia, non ancora passata probabilmente, ma un’altra storia.

L’altra storia è quella della guerra tra Russia e Ucraina.

Anche qui premessa a mia salvaguardi. Non ho mai indossato magliette con la faccia di Putin. Per me uno che chiude la bocca dei giornalisti anche col piombo, uno che modifica la Costituzione del proprio Paese per restare a capo dello stesso fino al 2036, uno che in Georgia e in Cecenia, o in Siria ha fatto quel che ha fatto, uno che mette in carcere gli oppositori che a volte muoiono non si sa per quale ragione è e resta un dittatore fin da quando ancora non aveva invaso l’Ucraina e la Crimea. E quindi qualche sanzione più sostanziosa di quelle fatte rima della Guerra l’avrei gradita. Ma come ne gradirei anche ad altri, come Erdogan, che non è uno stinco di santo e che con i giornalisti ha, diciamo, qualche problema di convivenza pacifica. O come l’Egitto, e mi fermo qui.

Condanno Putin  anche per l’invasione dell’Ucraina, ovviamente, e questa guerra atroce che sta ammazzando persone: civili e militari, anche questi ultimi con madri, padri, mogli e figli.

Ma, come giornalista, qualche dubbio su quel che sta accadendo mi viene. E francamente, proprio perché faccio questo mestiere, sarebbe sbagliato se non mi venisse perché non stimolerei la mia curiosità o farei l’errore che troppi fanno: quello di non avere memoria.

Quando nel 1992 Gorbacev dette il via libera alla disgregazione dell’Urss, quando si sottoscrissero i patti per la riunificazione tedesca, lui stesso racconta che ci fu un accordo fra le parti per evitare un allargamento della Nato ad Est. Quindi, diciamo, le ragioni o se vogliamo chiamarle le “scuse” di Putin hanno un fondamento storico.

I rapporti dell’Europa e della Nato con la Russia non sono stati mai positivi. Mi chiedo, dunque, se la diplomazia o i servizi dei diversi paesi europei non avevano immaginato che di fronte a questo allargamento della Nato prima o poi lo Zar si potesse un tantinino incazzare.

Il documento in cui negli accordi si definiva il non allargamento della NATO ad est reso pubblico da Der Spiegel nei giorni scorsi

Poi provo anche a leggere non l’informazione russa ma quella occidentale. Leggo che Lavrov, il ministro degli esteri russo, afferma che in Ucraina c’erano dei laboratori di ricerca biologica che trattavano cose sicuramente poco belle e che erano finanziate dagli Stati Uniti. Ammettiamo che, come dicono gli Usa, siano falsità. Allora, però, mi chiedo perché l’OMS ha consigliato all’Ucraina di distruggere i patogeni conservati in alcuni laboratori.

Come contesto, purtroppo, la scarsa attenzione della mia Europa a quel che dal 2014 è accaduto nelle regioni ucraine del Donbass dove con le armi e anche attraverso l’uccisione di civili, si stavano compiendo atti che un Paese civile non avrebbe mai compiuto di fronte ad una richiesta di maggiore indipendenza della popolazione filorussa.

La situazione esplose nelle proteste dell’Euromaidan nel 2014, con il conseguente colpo di Stato che destituì Janukovic, costretto alla fuga, e vide l’instaurarsi di un governo nazionalista, fortemente anti russo a guida di Petro Porošenko. Ne seguì un’ondata iconoclasta, similmente a quanto avvenne nei paesi baltici in seguito al crollo dell’URSS, i manifestanti anti russi abbatterono le statue di epoca sovietica, le amministrazioni cambiarono il nome dei luoghi pubblici che evocavano il passato sovietico e li sostituirono con i nomi dei collaborazionisti. Particolarmente emblematico fu l’abbattimento delle statue di Lenin e la loro sostituzione con quelle del collaborazionista Stepan Bandera. 

Anche la festa nazionale venne modificata, non più il 9 maggio, che è la Giornata della vittoria dell’URSS sul nazismo, ma il 24 agosto, Giornata dell’indipendenza ucraina dall’URSS. Ciò non avvenne in Ucraina orientale, dove anzi qualsiasi tentativo in tal senso era fortemente osteggiato dalla popolazione, che iniziò a mobilitarsi per staccarsi dall’Ucraina. La situazione per la comunità russa si faceva infatti sempre più difficile: le autonomie concesse dai governi precedenti vennero tutte revocate, l’uso e l’insegnamento della lingua russa vennero fortemente limitati e iniziarono a diffondersi episodi di grande violenza nei loro confronti, il più celebre fu la Strage di Odessa del 2 maggio 2014, dove almeno 48 russi vennero bruciati vivi nella Casa del Sindacato”.

Gli scontri nel corso dell’invasione russa dell’Ucraina

Infine so che la democrazia è fatta anche di realpolitik. So che portare Putin al tavolo della trattativa non è cosa semplice. E so anche che più tempo passa, più sarà difficile ottenere accordi migliori. Ho paura che per l’Ucraina le due Repubbliche del Donbass, la Crimea e la città di Odessa siano perse definitivamente e che qualsiasi accordo non potrà trovare per quella zona una soluzione diversa che non sia quella dell’autonomia da Kiev. Come sono convinto che qualsiasi accordo non potrà fare a meno di cedere sul fatto che l’Ucraina mai entrerà nella Nato, almeno fino a quando non cambino un po’ di cose in Russia.

Questo perché, a meno che non si voglia trasformare un conflitto che sul campo è ancora tra due Stati (tre con la Bielorussia) in qualcosa di molto più pericoloso, la Russia questa guerra la vince. La vince soprattutto in quei territori filorussi.

Sarei felice se non finisse così, come sarei stato felice se, alla fine della seconda guerra mondiale, avessimo conservato l’Istria e la Dalmazia. Ma proprio per la realpolitik quello non fu possibile.

Infine mi sento di condividere il pensiero dei colleghi del sindacato della tv di stato Greca. Non è vietando all’occidente di leggere le informazioni di parte che giungono dalle tv e dalle agenzie russe che si evita che qualcuno in occidente sia Putiniano. C’è sempre chi è disposto a mettere una maglietta con la faccia del dittatore. 

IL PRIMO ATTO: VISTO SI STAMPI E POSSIBILITA’ DI ORDINARE LA TUA COPIA

Visto si stampi e via libera alla tipografia. Così da oggi il romanzo “Sotto le ceneri” è in stampa ed è possibile ordinare la propria copia che arriverà a casa ancora prima di quando sarà in libreria (la data della presenza nelle librerie è quella del 28 aprile). A questo punto per chi volesse leggerlo in anteprima il consiglio è semplice. A questo indirizzo della casa editrice è possibile prenotarlo e la copia arriverà a casa vostra non appena sarà stampata. Io non vedo l’ora di rispondere ai vostri commenti, siano essi positivi o negativi. Alla fine un libro è un po’ come un figliolo, uno non vede l’ora che nasca con la speranza che cresca in salute. Buona ormai prossima lettura ad ognuno di voi-

Giorgio

IL TRAILER DEL ROMANZO

Estate del 1992 incidente sull’A1 tra Fabro e Orvieto. La macchina di due giovani di ritorno dal viaggio di nozze, Anna e Paolo, viene spinta da un autotreno in una piccola scarpata. Le vittime verranno scoperte qualche giorno dopo. Omicidio o incidente? La storia viene scovata per caso da un cronista di provincia, Matteo Sabelli, vent’anni dopo quando un camionista denuncia di essere stato graffiato e malmenato in una tetra area di servizio dell’A1 proprio di fronte al luogo dell’incidente. Il camionista è stato vittima di una donna che, secondo la leggenda che corre sui baracchini dei TIR, sarebbe il fantasma di quella sposina morta vent’anni prima.

Matteo, il giornalista, stava lavorando ad una inchiesta sullo sversamento delle ceneri di carbone che, per tutti gli anni ’80, sono arrivati dalla centrale Enel di La Spezia in Umbria. Ma per il giornale in cui lavora c’è poco spazio per le inchieste ma proprio la storia del fantasma, che piace all’editore e che fa vendere copie, si dimostrerà legata a quella vicenda.

La verità che emerge racconterà la storia di due famiglie distrutte, due famiglie in cui l’interesse economico, per alcuni, ha prevalso sugli affetti e ha prodotto una serie incessanti di ricatti. E con quelle famiglie Matteo entrerà in contatto, incontrando una misteriosa donna rinchiusa col figlio in un esilio forzato da un marito assente.

Sullo sfondo il melodramma non solo italiano che fa da contrappunto a ciascun capitolo diventando colonna sonora del romanzo.

IL PROLOGO

La polo aveva superato  da poco il confine. Dalla Toscana si era entrati in Umbria. Direzione sud sull’autostrada del sole. Le colline più morbide del senese e dell’aretino lasciavano il posto a quelle un po’ più mosse dell’Umbria. La Valdichiana si trasformava nei suoi lineamenti d’orizzonte sotto un cielo stellato che si espandeva a dismisura nel profondo della notte. Il paesaggio era illuminato da una grande luna crescente che aumentava il contrasto.

“Amore mio, manca poco ormai per arrivare a casa. Sei stanco? Vuoi che guidi io?”

La ragazza spostava il suo sguardo dall’angolo del paesaggio che stava guardando attraverso il finestrino verso il giovane. Sull’antenna dell’auto svettava ancora il nastro di tulle, segno distintivo dei freschi sposi. Il viaggio di nozze si stava per concludere.

“No amore, non sono per niente stanco”.

La guardò. “Siamo stati bene questi giorni. Ora torniamo a casa e ci sono da costruire i nostri sogni. Vivere la nostra casa, pensare ai giorni che verranno. Magari presto metteremo anche al mondo una creatura – disse sorridendo.

“Faremmo felici tuo padre e i miei. Mia madre poi… Proprio non le andava più giù che io e te stessimo insieme senza il sacro vincolo del matrimonio  – gli rispose. – “La sera prima del matrimonio ha avuto anche il coraggio di dirmi che finalmente tu, dopo anni, avevi deciso di fare di me una donna onesta!”

“Cosa che a questo punto ho fatto”. – Disse lui guardandola con tenerezza – Tua madre sarà contenta. Continueremo a vivere insieme però da moglie e marito, per la gioia dei conformisti”.

“Ammettilo. Il matrimonio ha comunque anche degli aspetti positivi. Quando mai avremmo potuto fare questo viaggio che sognavamo da tempo.”

Anna e Paolo erano sbarcati qualche ora prima a Malpensa. Tornavano dagli Stati Uniti. Si erano fatti quel coast to coast in moto, sulla Route 66 da Chicago a Santa Monica. Lo avevano sognato fin da quando, poco più che bambini, si erano conosciuti e forse riconosciuti sui banchi di scuola. Poi l’amicizia era diventata amore e l’amore vita di coppia. Fino a quel 3 giugno del 1992. Dopo tre anni di convivenza, erano entrati nella piccola chiesa de Le Querce a Viterbo per sposarsi.

Lui ingegnere al Poggino, l’area industriale di Viterbo. Lei maestra elementare a Vitorchiano. Due ventottenni che avevano deciso di costruire insieme una famiglia.

La macchina dopo una breve sosta in autogrill per un caffè, superò l’uscita di Fabro.

“Ho chiamato casa, ha risposto mia sorella. Le ho detto che siamo già a Fabro e che tra un’ora saremo a casa. Ci stanno aspettando. Lei non vede l’ora di sentire i racconti del nostro viaggio”.

“Usciamo a Orvieto e poi facciamo la strada interna – le disse Paolo  -, voglio uscire dall’Autostrada”.

Fabro era ormai alle loro spalle. La strada, dopo il curvone, cominciava a scendere. Mancava poco ad Orvieto, poco più di una ventina di chilometri. Improvvisamente un rumore strano.  Il volante diventò rigido e tremolante.

“Cazzo…. abbiamo bucato”. Paolo mise la freccia a destra e passò sulla corsia di emergenza. Si fermò  e scese dall’auto.

“Ci metto poco. Tu stai in macchina. E’ buio. Qui non filtra nemmeno la luce della luna. Ma fari e quattro frecce sono accese”. Erano in un canalone che scendeva dalla zona collinare di Fabro e che di lì a poco li avrebbe portati sulla spianata verso Orvieto.

Anna aveva il finestrino abbassato e ascoltava la radio a basso volume. Le faceva piacere ascoltare il marito che trafficava alla sua sinistra alle prese con la ruota posteriore forata. Sentiva il rumore del crick che veniva infilato sotto l’auto, la manovella che girava. Anna cercò una stazione radio che si potesse sentire meglio, Radio Subasio, che li aveva accompagnati spesso fin da giovanissimi. Stava cercando la frequenza, poi alzò gli occhi che incrociarono il marito nello specchietto retrovisore. Sullo sfondo della strada, dietro di lui, si avvicinavano due luci. Era un camion. Uno dei tanti che percorre l’autostrada da nord a sud. Luci che si avvicinavano, a velocità moderata. Lo specchietto retrovisore, così per come era costruito, modificava le distanze. Ma quelle luci sembravano troppo vicine alla corsia di emergenza. E si avvicinavano sempre più al lato destro della carreggiata.

“Paolo – chiamò Anna – quel camion mi sembra molto vicino alla corsia di emergenza. Stai attento”. Paolo girò la testa alla sua destra. Il camion era a poco più di trecento metri.

“Lo vedo – disse lui mentre lasciava la presa del crick, alzandosi dalla posizione accovacciata. Poi andò verso lo sportello, lo aprì e salì in macchina”.

“Che fai? – gli disse Anna?”

“Evito che tu possa diventare vedova in tempi troppo brevi. Appena passa scendo di nuovo”.

E poi un botto, sul retro, a sinistra. Un botto sordo, violento ma non determinato da un impatto a velocità elevata. Dopo una breve pausa, nella quale Paolo era pronto a scendere dal veicolo per comprendere che cosa fosse accaduto, sentirono una forte accelerazione del motore del camion che li aveva speronati. Era appoggiato sul loro paraurti e spinse la macchina verso il debole parapetto. Il camion accelerava, continuò a spingere. Lo stridere di lamiere faceva da controcanto al rumore del parapetto in legno che stava cedendo, alle grida di Anna e all’incredulità delle parole di Paolo. “Ma che cazzo sta facendo?”

La spinta fu sempre più forte. La macchina premette contro il parapetto, lo sfondò, precipitò nel fosso sottostante, tra un frusciare di rami spezzati e il rombo del motore del camion. Poi, dopo il tonfo, fu il silenzio.

Il camion fece retromarcia e si assestò meglio sulla corsia d’emergenza. L’autista accese le quattro frecce e piazzò il mezzo in modo tale da nascondere quella parte di guardrail divelto. Poi scese. Si guardò intorno. Nessuno aveva visto nulla. Guardò di sotto e non sentì alcuna voce. La macchina era precipitata per una decina di metri, non si vedeva, nascosta dalla fitta vegetazione cresciuta in modo selvaggio.   Avvolse una corda intorno al parapetto che si era scostato dalla sede stradale e, con forza, lo rimise in asse con la parte che era ancora ben fissata al manto stradale. Lo sistemò alla meno peggio, così che ad uno sguardo superficiale di chi fosse passato, tutto potesse sembrare regolare. Spinse nel fosso anche quei pezzi di fascione dell’auto staccatesi nell’impatto insieme al crick e alla ruota forata che Paolo aveva poco prima smontato.  Salì a bordo del camion, accese il motore, con calma sfilò una sigaretta dal pacchetto poggiato sul cruscotto, ingranò la prima, tolse le quattro frecce e ripartì. Non prima di avere acceso la radio.

“Cari amici, sono le 23,56 minuti a Radio Subasio. Il tempo di ascoltare Why di Annie Lennox e arriveremo all’8 agosto. E il caldo è con noi, più afoso che mai”.